L’arte è un mezzo straordinario per ampliare le nostre capacità di comprendere la complessità in cui viviamo. La visita al Floating Piers di Christo sul lago d’Iseo ne è un esempio unico e irripetibile. Nei sedici giorni dell’installazione abbiamo letto aggiornamenti quotidiani sull’impressionante e imprevedibile afflusso di persone (circa un milione e mezzo) attratte da questa “stra-ordinaria” opera (d’arte?) che ha ricevuto molti apprezzamenti e altrettante critiche. Ciò che rende il progetto fuori dall’ordinario non è solo il numero di visitatori, è la sua visionarietà e “follia” ed è la sua provvisorietà di cui resteranno solo milioni di immagini e i ricordi di chi c’è stato. Un lungo spettacolo dove quello che conta è il poter dire “io c’ero” e dove, come nei concerti rock, la folla di spettatori è parte integrante dell’evento. Il Floating Piers, come tante altre opere d’arte contemporanea, è “interattivo”, si fa nel “passaggio sulla passerella” di centinaia di migliaia di piedi. Senza quell’enorme numero di persone quegli strani pontili sarebbero stati “solo” una suggestiva striscia di tessuto lucente e cangiante che galleggia sul lago: land art che cambia la visione, sì, ma non la fruizione del luogo. Ciò che più mi ha colpita è l’impatto percepito di quel camminare sull’acqua, per un paio d’ore, in migliaia contemporaneamente, alla scoperta “dell’effetto che fa”. Un leggero e continuo rollìo che entra nel corpo, tocca i sensi e “massaggia” il cervello, tra sorpresa, riso, divertimento (e anche un leggero senso di mal di mare, alla fine). Una sensazione di fluidità mobile che dall’esterno passa all’interno e che permane per qualche tempo anche dopo la passeggiata. E poi ci sono le connessioni: fai parte di un paesaggio naturale e umano nello stesso tempo, tra acqua, montagne, il borgo di Monte Isola e il convento di San Paolo e, soprattutto, sei interconnesso con tutti gli altri che camminano, cambiano direzione a velocità variabile, si fermano, si siedono, si sdraiano, vicini, lontani, lontanissimi, all’orizzonte. I loro movimenti influenzano i tuoi. Sei un singolo in un insieme di nodi di una rete amplissima. E lo vedi, lo senti per tutto il tempo del percorso, lo interiorizzi anche se magari inizialmente non riesci a dargli un nome. Metafora esperienziale potente dell’ampiezza delle reti dei sistemi viventi, delle interdipendenze complesse e dell’incessante mutare delle loro configurazioni, anche minime ed impercettibili. Mi ha ricordato l’opera di Tomas Saraceno del 2012 all’Hangar Bicocca di Milano “On space time foam”: una struttura fluttuante a venticinque metri di altezza, costituita da tre livelli di pellicole trasparenti praticabile dal pubblico che, spostandosi da una parte all’altra, sperimentava equilibri di rete mutevoli, in un contesto chiuso e fruibile solo da un piccolo numero di persone.
La forza immaginativa, la vastità e l’unicità dei Floating Piers di Christo mi hanno permesso di imparare qualcosa della complessità che credevo di conoscere. Grazie all’arte.